Il corpo parlante
Nicola Nociforo
«Come Ippocrate fonda la Medicina Fisica, così Freud fonda la Medicina Psichica. In ambedue viene rifiutato il concetto ontologico di malattia, laddove viene centrata l’attenzione sulla sofferenza del soggetto […] Dopo una ricognizione sui concetti di arché, di physis e di psyché, viene assunto come Kriterion di ogni direzione della cura: la trasformazione di un ordine simbolico in un altro» (Francesco Corrao, Opere, vol. I, pp. 122-123)
Una domanda ricorrente alla psicoanalisi, quando la sofferenza affettiva si esprime attraverso sintomi corporei veri, evidenti e talora implacabili e soverchianti nella loro visibilità, è relativa al “come”, ovvero come sia possibile che un processo fondato sull’uso della parola e sulla rinuncia all’azione fisica arrivi comunque al corpo e alle sue sofferenze.
Sarebbe piuttosto semplice mettere in evidenza come la stessa via attraverso cui gli affetti hanno raggiunto il corpo è quella per la quale il corpo può recuperarli nella loro dimensione sensoriale e passionale. Quello che non mi sembra particolarmente riconosciuto e compreso è che tra i meriti scientificamente rivoluzionari della psicoanalisi non c’è soltanto quello di avere individuato nel corpo la sorgente di quei moti vitali che da biofisici sono capaci di trasformarsi in psichici, in pensieri, frutto del legame tra rappresentazioni verbali e ideo-affettive sul mondo che ci permettono di riconoscere i nostri limiti nei confronti della realtà e di metterli in rapporto con le nostre necessità ed i nostri desideri per modificarla, bensì anche quello di avere anche compreso che il corpo è portatore di una varietà di logiche, corporee e inconsce, di un insieme contemporaneamente semantico ed emozionale che si sviluppa in una vera e propria capacità linguistica.
La pulsione non è solo l’impulso di una parte del nostro corpo, ma è il modo orale, anale, fallico, genitale che ci spinge ad agire, oppure a pensare, costituendosi a metà tra il biologico e lo psichico. Le nostre parole, quindi, e le nostre scelte, quando non sono il frutto di stati difensivi, sono espressione della “bio-logica” del corpo, con i suoi moti affettivi e pulsionali, con i suoi desideri che <
La psicoanalisi ci permette, quindi, di rivedere il cartesiano “cogito ergo sum” non più in una dimensione di separatezza per la quale il pensare è della mente e l’essere del corpo, bensì in un’ottica di contemporaneità complementare e reciprocamente influenzante per la quale il corpo parla e le parole ed i pensieri hanno corpo, essendo deputati a rappresentare ed elaborare le sue istanze. Ciò che è stato banalizzato con il concetto di comunicazione non verbale, annullando la specificità e la ricchezza perturbante della scoperta psicoanalitica per la quale il corpo umano è un corpo desiderante nella sua totalità, ma con delle differenze e delle specificità “linguistiche” relative alla parte che si esprime.
Un parlare del corpo piuttosto che un non verbale, che ovviamente ha bisogno di essere riconosciuto, accolto e ascoltato come tale perché le sue espressioni possano trovare nella parola il ponte che garantisce l’unità psicosomatica, pena l’ingrata etichetta di ineffabilità e la separatezza, la divisione tra mente e corpo, gravida di conseguenze sofferte, tra un corpo carico di vitalità e distruttività inconsce che non trovano espressione e una parola che rimane senza corpo. Acquista così senso, mi auguro, il concetto psicogenetico per il quale l’energia libidica, una delle due grandi forze, insieme all’identificazione, che animano e motivano il nostro rapporto con la vita, si evolve dalla zona orale a quella anale, poi a quella fallica, fino a quella genitale, relativa al riconoscimento dell’esistenza del corpo dell’altro e dell’unità polimorfica “pensante” e desiderante del proprio corpo. Oralità, Analità, Fallicità, Genitalità, quindi, non sono solo parti del corpo investite libidicamente ma anche zone “parlanti”, portatrici di una logica e di linguaggi che ci spingono a rapportarci con il mondo oralmente, analmente, fallicamente, ecc., contribuendo a determinare il nostro modo di pensare.
Possiamo sentire di voler mangiare il mondo, o la persona che amiamo, in un impeto di affetto con una prevalenza di logica orale. E d’altra parte, la relazione tra la bocca del neonato ed il seno della madre costituisce il modello originario della futura capacità del bambino di sentirsi dotato di un corpo capace di assimilare e digerire del cibo e di una mente capace di contenere oggetti mentali e di trasformarli, come si comprende meglio quando osserviamo un piccolo di pochi mesi che porta alla bocca qualsiasi oggetto tentando così una prima ricognizione del mondo, una ricognizione sotto il principio dell’oralità che conosce assimilando, masticando, incorporando. E d’altra parte, mentre “mangia” il seno, il bambino immette nella madre e riacquisisce da lei affetti grezzi che gli vengono restituiti attenuati nelle loro componenti più aspre ed angoscianti. Attraverso il rapporto della bocca con il seno, quindi, il bambino potrà vivere, riconoscere ed identificarsi nel tempo con la capacità della madre di accogliere la tensione emotiva espressa dai suoi stati corporei e di tradurla in pensieri, sviluppando così la funzione di elaborazione che gli permetterà a sua volta di stabilire un rapporto con il proprio corpo e di trasformare i propri stati affettivi e corporei in oggetti mentali.
Così come nel funzionamento anale ci si rapporta con gli altri come oggetti da trattenere e controllare, o da evacuare liberandosene. Se ad un primo impatto possiamo sentire una repulsa moralistica per questo modo di essere nei confronti del mondo, che certamente può essere causa di notevole sofferenza qualora in un assetto nevrotico prenda rigidamente il sopravvento sulle altre logiche, c’è da tenere presente che è proprio nella fase in cui il bambino acquisisce la difficoltosa ma piacevole capacità di contenere le urine e le feci che si sta consolidando in lui contemporaneamente una capacità di contenimento dei propri oggetti mentali, dei propri stati affettivi, un proprio originario contegno che, associato ad una capacità di controllare e determinare con altrettanto piacere l’evacuazione dell’oggetto, gli permetterà di sviluppare la sua prima per quanto “violenta” forma di autonomia, il suo primo no agli altri da cui dipende e di cui sente per la prima volta di potere fare a meno. Un blocco dello sviluppo affettivo in questa fase spiega buona parte del modo in cui gli esseri umani si accapigliano per il possesso di beni e ricchezze, non avendo ancora ben consolidato in se stessi il riconoscimento degli altri come esseri costituiti a loro volta di un mondo affettivo e di bisogni e desideri simili ai propri, e non come esseri-cacca da trattenere o evacuare a proprio piacimento.
Mentre la logica fallica si fonda sul piacere di penetrare attivamente il mondo, su un versante maschile, ed a riceverlo ed accoglierlo ricettivamente su un versante femminile. Le due modalità sono compresenti sia nell’uomo che nella donna, entrambi bisognosi di sviluppare una funzionalità psicosomatica basata su una buona capacità di ricevere e penetrare, di contenere ed essere contenuti, di potere penetrare nel mondo e di esservi accolti.
Nel conseguimento della genitalità, infine, l’insieme di queste logiche corporee arriva a coesistere sotto l’egida del riconoscimento del legame affettivo e sessuale dei genitori come origine della nostra esistenza. I diversi desideri corporei divengono così la base della curiosità per il mondo e della passione per la conoscenza, che ha quindi nella sessualità trasformata, e nella ricchezza e complessità delle sue diverse logiche, le proprie origini.
Ma questo avviene quando non si cada preda di patologie. In questi casi un linguaggio e la sua logica di riferimento potrebbero prendere il sopravvento su tutte le altre, bloccando lo sviluppo e la possibilità di trasformazione dell’energia libidica, il suo “dialogo” con le componenti distruttive. Questa prevaricazione di un linguaggio su tutti gli altri rischia di diventare nel tempo un modo di rapportarsi con il mondo rigido, causa di profonda sofferenza e impedimento a vivere pienamente e liberamente la vita.
Non è infrequente, infatti, osservare delle sovrapposizioni della geografia corporea (Meltzer) tali per cui avvengono delle vere e proprie inversioni della funzione d’organo, in base alla logica corporea che prenderà il sopravvento.
In uno sviluppo non patologico, invece, questi linguaggi originari continueranno per sempre ad esprimere le proprie istanze nei confronti dell’Io, per cui la nostra mente ed il suo organizzatore, non sono costituiti da un’unica logica, ma sono il frutto della nostra capacità di accogliere e riconoscere le sorgenti vitali e distruttive che inducono il corpo a parlare in modo orale, o anale, o fallico o genitale, in una convivenza più o meno armonica di questi diversi linguaggi e stati del nostro essere nel mondo.
Tutto questo pertiene il vasto campo delle logiche corporee, che trovano nelle parole capaci di riconoscerle, e nell’intensità affettiva della relazione umana, la possibilità di transitare da un ordine simbolico ad un altro, in una trasformazione dallo stato corporeo a quello pensante, per cui, come sosteneva Francesco Corrao, così come un cuore pulsa irrorando il corpo di sangue ed ossigeno, così una mente sana pulsa emettendo pensieri. Questo fa comprendere in che modo la psicoanalisi, terapia del profondo basata sulla rinuncia all’azione e sull’uso delle parole e dell’ascolto paziente degli affetti che veicolano, possa curare, in un dialogo intenso e frequente, stabile e continuo con i propri pazienti, le sofferenze del corpo parlante.
Catania, 28 marzo 2015